Basta persecuzioni anticristiane!

Basta persecuzioni anticristiane!

Non dimentichiamoci dei cristiani perseguitati!

Il sangue versato ovunque nel mondo da questi fratelli nella fede grida alle nostre coscienze nel silenzio assordante dei media.

In Siria, nonostante le rassicurazioni date dal governo ad interim, guidato dall’ex-jiahdista Abu Mohammed al Jolani, i cristiani devono affrontare minacce, violenze, barbarie e terrore.

Come ha raccontato in un’intervista l’arcivescovo siro-cattolico di Homs, mons. Jacques Mourad, vi sono persone scomparse, torture in pubblico e le prigioni sono piene.

Non si sa neppure più chi sia vivo e chi sia morto. Tutto questo avviene lontano da Damasco, dove sono concentrati i giornalisti, lontano dalla stampa e dalle telecamere.

«Ho girato le nostre dodici parrocchie, comprese quelle dei villaggi – ha detto mons. Mourad alla stampa – Cerco di incoraggiare, di consolare, di chiedere pazienza, di trovare soluzioni».

La soluzione possiamo essere noi! Dando voce a chi non ha voce. Informando l’opinione pubblica su ciò che realmente accade. E chiedendo pace e libertà per la comunità cristiana siriana.

Per questo intendiamo lanciare una vasta campagna di sensibilizzazione via social. Questo ha ovviamente un costo, che da soli possiamo sostenere solo in parte.

Per cercare di raggiungere quanta più gente possibile, abbiamo assolutamente bisogno del tuo aiuto!

È importante, come dice mons. Mourad, «per vedere se qualcosa rinasce, come un nuovo germoglio».

È, questa, la speranza anche di Naseem (è un nome di fantasia, per proteggere la sua vera identità): è una donna pachistana, madre di sette figli, convertitasi dall’islam al Cristianesimo.

«Tutti intorno a me credono che, se mi uccideranno, otterranno il paradiso», scrive. Parole agghiaccianti.

Dopo la conversione la sua vita è stata profondamente segnata da una persecuzione incessante, scandita da continue minacce ed attentati.

Ha subito perso ogni legame con la famiglia, che l’ha lasciata sola. Suo padre, i suoi fratelli, i suoi amici la considerano una kafir, un’infedele, la cui morte comporterebbe la loro salvezza.

Molteplici sono le discriminazioni sul lavoro: i musulmani locali si rifiutano di assumerla ed «il reddito del lavoro nei campi», che lei compie, «raramente è sufficiente per tutti».

I figli, a scuola, subiscono quotidianamente umiliazioni ed intimidazioni. Hanno rischiato persino di esser rapiti. Gli insegnanti han cercato di convincerli a tornare islamici.

Ad aiutare Naseem sono solo gli altri cristiani: «A volte mi danno della farina o 500 mila rupie. Grazie a loro possiamo sopravvivere con dignità», ha dichiarato.

«Chiedo di vivere libera dalla paura di essere uccisa o di vedere i miei figli ammazzati. Voglio poter andare in chiesa e seguire Gesù liberamente».

Ciò che patisce Naseem ci ricorda quanto provvidenziale sia (almeno per ora) vivere in Occidente. Ma non possiamo lasciarla sola, né abbandonare quanti altri vivano la stessa condizione.

«Nessuno di noi dovrebbe vivere nella paura», afferma. Ed ha ragione. La sua fede incrollabile illumina la speranza. Ma mantenere quella fiammella accesa dipende anche da ciascuno di noi.

Aiutaci a lanciare una vasta campagna di sensibilizzazione, affinché molti nuovi amici si uniscano a noi per chiedere che cessi immediatamente ogni forma di persecuzione contro i cristiani. 

Come quella patita in Myanmar nei giorni scorsi da un sacerdote cattolico di 44 anni, Padre Donald Martin Ye Naing Win, nel villaggio di Kan-Gyi-Taw.

L’uomo era intervenuto per difendere due catechiste della parrocchia, minacciate da dieci uomini armati: in tutta risposta, è stato ucciso, barbaramente.

Ti abbiamo citato solo gli ultimissimi casi di persecuzione anticristiana.

Come possiamo accettare, in silenzio e senza muovere un dito, che dei nostri fratelli nella fede vengano massacrati, aggrediti, discriminati, minacciati?

È stato Gesù Cristo a darci un comandamento nuovo: «Come io vi ho amato, così amatevi anche voi gli uni gli altri» (Gv 13, 34). Non ha posto confini a questo amore.

E San Paolo ha aggiunto: «Se un membro soffre, tutte le membra soffrono insieme» (I Cor 12, 26). I loro patimenti dobbiamo sentirli come nostri.

Per questo, non possiamo restare indifferenti! Ciò che accade in Siria, in Pakistan, nel Myanmar ci riguarda. Tacere vorrebbe dire renderci complici di assassini, torturatori, aguzzini.

Coraggio, dunque! Col tuo aiuto potremo promuovere una vasta campagna di sensibilizzazione, affinché l’opinione pubblica sappia e chieda con noi che le persecuzioni anticristiane abbiano fine.

Insieme, potremo fare la differenza. Perché solo uniti, si vince!

 

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