Come stanno i cristiani in Terra Santa?
La situazione dei nostri fratelli cristiani a Gaza continua ad essere estremamente precaria.
Come apprendiamo dall’Agenzia Sir, l’unica parrocchia di rito latino del territorio, la Sacra Famiglia, si trova ancora sotto le bombe e piena di sfollati (circa 600).
L’Esercito israeliano sta chiedendo di evacuare quei quartieri, per evitare di restare colpiti dai bombardamenti.
Ma i cristiani non vogliono andarsene. Anche perché spostare gli anziani, i malati e i disabili, accolti nella parrocchia e assistiti dalle suore di Madre Teresa, è impossibile senza mettere a repentaglio la loro incolumità.
«Se dobbiamo morire preferiamo farlo stando il più vicino possibile a Gesù, vicino all’altare. Da qui non ce ne andiamo, questa è la nostra casa e qui rimaniamo», dice suor Nabila Saleh, religiosa delle Suore del Rosario che a Gaza gestiscono una scuola di 1250 alunni.
Padre Gabriel Romanelli, parroco di Gaza, da Gerusalemme, dove si trova bloccato dal 7 ottobre proprio a causa della guerra e impossibilitato a rientrare tra i suoi parrocchiani, parla di «Via Crucis dei cristiani di Gaza». E spiega che nella parrocchia le condizioni di vita si fanno più difficili: «In questi ultimi tempi la cucina è stata operativa tre giorni a settimana con i fedeli che hanno cercato di reperire il cibo necessario come potevano. Per fare il pane è stata usata farina non raffinata, l’unica disponibile al momento».
Un clima che pesa sulle spalle dei 600 sfollati cristiani che da più di 4 mesi alloggiano negli ambienti della parrocchia: «Sono stanchi, tristi, affranti. Non vedono futuro davanti ai loro occhi, ma, nonostante ciò, si prodigano per chi ha meno di loro, per le famiglie che abitano vicino la parrocchia e che sono tante», racconta il parroco.
«In questa Quaresima – conclude suor Nabila – condividiamo la nostra Via Crucis con Gesù che per primo ha condiviso la sofferenza umana. Abbiamo questa fiducia in Lui, che ha in mano la storia, e chiediamo il dono della pace. Pregate con noi, per noi e per Gaza».
La situazione però non è facile nemmeno in Cisgiordania.
Avvenire, qualche settimana fa, ha parlato di Taybeh, l’antica Efraim, unico villaggio interamente cristiano, in teoria di 15mila residenti, ma rimasti in meno di 1.300.
Parrocchia latina di Taybeh
Attribuzione immagine: Di Butega - Opera propria, CC BY-SA 4.0, https://commons.wikimedia.org/...
Padre Bashar, il parroco, spiega: «Quello che tanti non capiscono è che noi non siamo solo cristiani, siamo palestinesi».
La cronaca di Avvenire poi riporta che il giovane parroco, “per dire tutto quello che pensa di Hamas dovrebbe togliersi l’abito da prete. Senza considerare il rischio di rappresaglie dei fondamentalisti sui cristiani”.
Ma negli ambienti della parrocchia quasi tutti pensano che gli estremisti siano peggio di una sventura e che il 7 ottobre sia stato «un crimine, una follia, una disgrazia.
Perché, se da un lato ci sono gli abusi di vari coloni israeliani e le bombe dell’esercito di Tel Aviv, dall’altra non possiamo dimenticare che Hamas è un’organizzazione terrorista, che usa i civili come scudi umani e persegue i propri interessi senza curarsi della vita delle persone.
E i cristiani si trovano tra l’incudine e il martello.