Dante di destra? No, semplicemente cattolico
Sta facendo discutere la provocazione lanciata dal ministro della Cultura Gennaro Sangiuliano, il quale –intervistato sabato scorso a Milano durante un evento di Fratelli d’Italia – ha dichiarato che Dante Alighieri può essere considerato il fondatore del pensiero di destra in Italia.
Al di là delle polemiche, spesso esagerate e pretestuose, ma anche fondate, visto che non si può parlare di categorie destra/sinistra relativamente a un personaggio del Medioevo e quindi vissuto in un contesto storico completamente diverso dal nostro, in questa sede ci preme precisare un fatto, purtroppo dimenticato da molti.
Il Sommo Poeta, padre della lingua italiana e giustamente considerato un simbolo della nostra identità di italiani, fu prima di tutto un cattolico.
Considerando solo l’ultimo secolo, praticamente tutti i Papi a partire da Leone XIII, che peraltro conosceva e citava a memoria molti passi della Divina Commedia, hanno fatto riferimento a Dante e lo hanno celebrato. Paolo VI e Francesco gli hanno dedicato anche due Lettere apostoliche, rispettivamente la Altissimi cantus del 1965 e la recentissima Candor Lucis aeternae del 2021 (in quanti le conoscono e le hanno lette?).
Ma di particolare importanza è l’enciclica In praeclara summorum di papa Benedetto XV, pubblicata nel 1921. Questo testo ci aiuta a comprendere Dante nella giusta ottica e ci permettiamo di suggerirne la lettura o la rilettura al ministro Sangiuliano ed ai suoi critici di sinistra.
Benedetto XV afferma chiaramente che la Chiesa ha “il diritto di chiamare suo l’Alighieri” e lo definisce “il cantore e l’araldo più eloquente del pensiero cristiano”, in quanto “il nostro Poeta durante l’intera sua vita professò in modo esemplare la religione cattolica”, facendosi “discepolo del principe della Scolastica Tommaso d’Aquino”.
Proprio per questo, tutte le opere di Dante (dove “si riscontra un vero tesoro della dottrina cattolica”), ed in particolare la sua Commedia, “che meritatamente ebbe il titolo di divina”, costituiscono una “validissima guida per gli uomini del nostro tempo”.
Non solo. Nell’enciclica il Papa scrive che l’elogio principale che si possa fare al grande fiorentino è proprio quello “di essere un poeta cristiano e di aver cantato con accenti quasi divini gli ideali cristiani dei quali contemplava con tutta l’anima la bellezza e lo splendore, comprendendoli mirabilmente e dei quali egli stesso viveva”. “Conseguentemente – e questo vale soprattutto per chi oggi si erge a grande difensore ed estimatore dell’Alighieri, a qualunque parte politica appartenga [n.d.r.] –, coloro che osano negare a Dante tale merito e riducono tutta la sostanza religiosa della Divina Commedia ad una vaga ideologia che non ha base di verità, misconoscono certo nel Poeta ciò che è caratteristico e fondamento di tutti gli altri suoi pregi”.
E allora le aspre invettive contro gli uomini di Chiesa, papi compresi, che si trovano nelle sue opere? Certo, ci sono, ma sono critiche dettate da ragioni politiche e dalle sofferenze personali subite.
Del resto, come nota lo stesso Benedetto XV, “chi potrebbe negare che in quel tempo vi fossero delle cose da rimproverare al clero, per cui un animo così devoto alla Chiesa, come quello di Dante, ne doveva essere assai disgustato, quando sappiamo che anche uomini insigni per santità allora le riprovarono severamente?”. Insomma, “per quanto si scagliasse nelle sue invettive veementi, a ragione o a torto, contro persone ecclesiastiche, però non venne mai meno in lui il rispetto dovuto alla Chiesa e la riverenza alle Somme Chiavi”.
L’Alighieri sapeva perfettamente che il Romano Pontefice è “giudice infallibile della verità rivelata da Dio, cui è dovuta da tutti assoluta sottomissione in materia di fede e di comportamento ai fini della salvezza eterna”. Nella Commedia, infatti, così cantò: “Avete il novo e ‘l vecchio Testamento, e ‘l pastor de la Chiesa che vi guida: questo vi basti a vostro salvamento” (Paradiso V, 76-78).
Pertanto, la sua deferenza per l’autorità della Chiesa Cattolica e per il Papa in lui non vacillò mai. Infatti, pur ritenendo la dignità dell'Imperatore derivante direttamente da Dio (secondo la celebre teoria dei due soli, che si contrapponeva a quella del sole e della luna sostenuta invece dai Pontefici), “non era uomo - scrive Benedetto XV - che per ingrandire la patria o compiacere ai prìncipi potesse sostenere che lo Stato può misconoscere la giustizia e i diritti di Dio, perché egli sapeva perfettamente che il mantenimento di questi diritti è il principale fondamento delle nazioni”.
Ecco perché l’Italia deve essere orgogliosa di aver dato i natali a Dante Alighieri e di trovare in lui un simbolo della propria identità nazionale. Per questo il Sommo Poeta andrebbe studiato di più e meglio di quanto non si faccia ora. E possibilmente andrebbe anche preso come bussola per permettere al nostro Paese di orientarsi bene nel futuro.