L'Europa stila una lista di "paesi sicuri" per il rimpatrio dei migranti. Ma non basta!

L'Europa stila una lista di "paesi sicuri" per il rimpatrio dei migranti. Ma non basta!

Mentre Bruxelles compila elenchi, redige documenti e si impantana nei soliti meccanismi lenti e autoreferenziali, l’Italia continua a essere lasciata sola a fronteggiare una vera e propria emergenza nazionale. 

Sì, la Commissione europea ha finalmente stilato una lista – ancora provvisoria – di Paesi considerati “sicuri” per il rimpatrio dei migranti. 

Ma siamo sinceri: non basta più qualche riga su un foglio per fermare una valanga che da anni devasta le nostre coste, le nostre città e il nostro tessuto sociale.

Egitto, Bangladesh, Tunisia, Marocco, India, Colombia, Kosovo. Paesi che, sulla carta, non sono in guerra. 

Ma davvero possiamo considerarli “sicuri”, quando molti di essi sono attraversati da instabilità, violenza, corruzione e reti criminali fuori controllo? Non ci prendiamo in giro: questa è l’ennesima toppa su una falla gigantesca.

Nel frattempo, le milizie libiche si arricchiscono, i trafficanti di esseri umani prosperano, e le ONG continuano a fungere da traghetto di comodo, coprendo con il velo dell’umanitarismo un sistema che ha fallito. 

L’estate si avvicina, e con essa aumentano le partenze, le tragedie, e il caos sulle nostre coste. I porti italiani rischiano di essere ancora una volta invasi.

E cosa fa l’Europa? Aspetta il parere della Corte di giustizia. Aspetta i tecnicismi e le spiegazioni “minuziose” su chi e perché debba essere rimpatriato. Mentre noi aspettiamo, loro sbarcano, ogni giorno. Con numeri che, anche quando calano, restano insostenibili.

Serve una presa di posizione netta. Serve coraggio politico. Serve dire basta. Ora!

È ora di far rispettare le regole, di difendere i confini, di tutelare la sicurezza dei cittadini. Non possiamo più permetterci il lusso dell’attesa, del compromesso, della paura di essere “politicamente scorretti”.

Difendere la nazione non è un'opzione: è un dovere. Difendere i confini non è razzismo: è responsabilità!

 

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