Quale futuro per l'Italia?
Domani è il 25 aprile, Festa della Liberazione.
E ogni anno è la stessa, identica storia. Polemiche, dichiarazioni forti seguite poi da scuse o ritrattazioni, e così via. Un po’ stancante a dir la verità…
A distanza di quasi ottanta anni dalla fine della Seconda Guerra Mondiale e dal ritorno della democrazia e della libertà in Italia, sono però ancora attuali le parole pronunciate dopo il conflitto dal cardinale Alfredo Ildefonso Schuster, arcivescovo di Milano in quegli anni terribili di sangue, violenza, lotta fratricida, distruzione e povertà.
Sono pensieri ancora validi perché anche oggi noi italiani abbiamo bisogno di pacificazione e di riconoscerci tutti come membri di un unico popolo. Le nostre differenti posizioni, legittime, su molti temi, non debbono farci dimenticare la nostra unità, il nostro comune destino.
Ecco cosa diceva, tra l’altro, il cardinale Schuster:
“S’impongono ora due grandi doveri, quei medesimi a cui soddisfece il Patriarca Noè appena uscito dall'Arca dopo il Diluvio Universale. Prima ancora di porre mano alla generale ricostruzione della Patria, ricostruzione che vuole essere insieme religiosa, politica, economica ed edilizia, dobbiamo rendere a Dio solenni grazie per mezzo di Maria, Avvocata e Liberatrice nostra. Non è ora questa di festa, ora di cantare l’epinicio della vittoria, quando invece Dia solo ha vinto per noi, e sotto le accumulate rovine di tutta intera la Penisola forse giacciono ancora insepolte parecchie salme lagrimate dei miseri cittadini.
Non saranno forse sufficienti trent'anni a riparare i danni di questa guerra. Basta ora cogli evviva e cogli abbasso. Basta cogli eccidi fraterni. Siamo rimasti troppo pochi e troppo poveri per continuare ancora a dilaniarci a vicenda, quando invece urge più che mai il bisogno della concordia civica, dell'unità nazionale sotto la formola d'una unica Fede con un'unica bandiera d’Italia.
E ancora:
“Per la ricostruzione spirituale dell'Europa non basteranno forse due generazioni; giacché lo spirito dell'attuale guerra ha fatto retrocedere la civiltà di moltissimi secoli, superando ogni precedente forma di barbarie. Osservo tuttavia sin d'ora che, a ben costruire, noi abbiamo soprattutto bisogno di tre beni: di verità, di libertà e di energie ben intenzionate.
Le trascorse esperienze purtroppo ci dimostrano che, a costruire sopra ideologie soggettive, o su piani interessati, si costruisce sempre sull'arena.
[…]
Purtroppo, il mondo il più delle volte vien dominato dalla forza, sia essa militare, sia politica, sia economica. La futura società delle nazioni con le sue garanzie e sanzioni potrà certamente molto, ma non sempre riuscirà ad evitare ogni altro folle piano d'una nuova conflagrazione mondiale.
All'esperienza della storia, io non conosco che una sola forza che possa veramente tener fronte alla forza, e questa è quella divina dei Cristianesimo. Lo si è constatato anche nella cessata guerra: di fronte al nazismo imperante, anzi trionfante, solo l’inerme Clero cattolico, dall'Episcopato sino all’ultimo Sacerdote, sfidando carceri ed esilii per la tutela dei diritti dei popoli, hanno ripetuto coraggiosamente il grido del Battista: non licet, non si può. Le leggi umane possono bensì cambiarsi; non potrà però mutarsi mai l'Evangelo eterno.
Per costruire inoltre genialmente, i programmi politici dei vari partiti non bastano. Col loro partitismo riescono anzi pericolosi sia alla Polis, sia agli altri Stati. Si richiede soprattutto la dignitosa libertà del cristiano, pel quale religione è patriottismo e patriottismo è religione, ma religione cattolica! ln questa, e solo in questa, l’elemento nazionale si disposa armoniosamente all'elemento universale della Cattolicità, e cosi viene assicurata la stabilità d'ogni singola nazione nella pacifica convivenza con gli altri Stati”.