Stiamo forse ammettendo la legge islamica?

Stiamo forse ammettendo la legge islamica?

Il 10 febbraio si è aperto nel Tribunale di Reggio Emilia il processo per cinque familiari di Saman, la ragazza diciottenne pakistana uccisa a Novellara tra il 30 aprile e il 1° maggio 2021 per aver rifiutato un matrimonio combinato.

L’altro ieri il Ministro della Giustizia Carlo Nordio ha trasmesso alle autorità pachistane la richiesta di assicurare rapidamente una videoconferenza per permettere la partecipazione da remoto di Sahabar Ammas, padre di Saman, attualmente detenuto in un carcere del Pakistan, alle udienze del processo a suo carico. Il collegamento video è previsto per l'udienza in programma il prossimo 18 marzo.

Ebbene, riguardo a questa vicenda c'è un dato molto preoccupante. Ovvero l’influenza sempre maggiore che potrebbe avere la legge islamica, la sharia, in Italia.

A lanciare l’allarme è stata su La Nuova Bussola Quotidiana la giornalista Souad Sbai, presidente dell’Associazione Acmid Donna Onlus e già deputata in Parlamento.

Il fatto è che l’associazione della Sbai è stata l’unica, tra le 13 parti civili escluse dal tribunale di Reggio Emilia, ad occuparsi direttamente di donne di cultura islamica vessate e private della libertà.

Perché questa esclusione?

E perché invece il giudice ha ammesso come parti civili l'Unione delle comunità islamiche italiane (Ucoii), la Confederazione islamica italiana e la Grande moschea di Roma?

Peraltro, proprio a seguito dell’omicidio di Saman, l’Ucoii aveva emesso una fatwa contro i matrimoni combinati. E se questa all’apparenza può sembrare una bella notizia, in realtà è inquietante.

Il nostro ordinamento giuridico, infatti, ha già tutti gli strumenti per impedire tali generi di situazione. E poi ciò che occorre è una politica di integrazione.

Emettere una fatwa, invece, è come voler dare pari dignità al diritto islamico nel nostro Paese. E questo non possiamo, né dobbiamo permetterlo. Il rischio è di avere, come già di fatto accade in altri Paesi europei, zone franche in cui lo Stato non ha alcun potere: in pratica dei ghetti islamisti, con tutto ciò che questo può comportare, come ad esempio la proliferazione del terrorismo.

Tornando al processo di Reggio Emilia. Perché quindi escludere l’associazione Acmid Donna Onlus e ammettere invece l’Ucoii? Lo stesso Ucoii che, tramite il suo avvocato, ha detto di essere una realtà che sostiene “la necessità di una integrazione e di uno smussamento degli integralismi religiosi”.

Cosa intende per “smussamento degli integralismi religiosi”? Il radicalismo islamico andrebbe solo “smussato”?

“La decisione del tribunale di ammettere queste moschee – afferma Souad Sbai – non è da Stato laico, nemmeno in Marocco ho mai visto una moschea che si costituisce parte civile. E non mi sembra che l’Ucoii si sia mai costituita parte civile nei processi contro i jihadisti”.

E ancora: “Sembra quasi che siano questi centri di cultura islamica le vittime, ma la vera vittima è Saman. Perché non è andata nelle moschee a farsi aiutare? La verità è che la moschea era un mondo che le era ostile perché permeato di cultura islamista”.

Anche l’avvocato di Acmid, Luigi Capelli, ha dichiarato che “la vicenda di Saman nasce dentro la cultura islamica. Se ammettono le associazioni delle comunità musulmane, perché non farlo anche per quelle realtà che lottano contro l’islamismo?”.

Sono buone domande, alle quali speriamo giungano delle risposte. Possibilmente convincenti.

Attribuzione immagine: Di Cezary Piwowarski - Opera propria, CC BY-SA 4.0, https://commons.wikimedia.org/...
Dona