Un’occasione persa

Un’occasione persa

La settimana scorsa in Senato si è persa un’occasione.

Stiamo parlando del via libera dato all’unanimità (i grillini in realtà si sono astenuti) da Palazzo Madama al disegno di legge sul ripristino – così hanno detto i giornali – della festività nazionale del 4 novembre.

In realtà, non cambierà nulla. E non c’è alcun ripristino.

E non capiamo francamente quale sia stato il senso di questo voto, che oltretutto dovrà ripetersi anche alla Camera. Mera propaganda?

Il ddl, infatti, istituisce la Giornata per celebrare la festa dell'Unità Nazionale e delle Forze armate con l'invito a enti locali e scuole di ogni ordine e grado, a organizzare attività che ne commemorino la ricorrenza.

Ciò significa che il 4 novembre, banalmente, si andrà a lavorare, esattamente come tutti gli altri giorni ed esattamente come si è fatto da quando la festa è stata soppressa nel 1977.

Ciò significa che non c’è alcuna volontà di reintrodurre questa festività civile.

Eppure farlo sarebbe stato un segnale. Un gesto di patriottismo.

Per carità, non si tratta di esaltare la guerra con una retorica stucchevole e decisamente fuori dai tempi. La Prima Guerra Mondiale è stata assolutamente una “inutile strage”. Su questo non abbiamo dubbi.

Però è un fatto che, se c’è una data utile a ricordare l’Unità nazionale, questa è proprio il 4 novembre. Data che peraltro, una volta tanto, commemora una vittoria e non una sconfitta. E che ha unito, nel bene e nel male, tutti gli italiani.

Qualcuno nell’attuale maggioranza, presidente del Senato in testa, propone di istituire la festa civile del 17 marzo in ricordo della proclamazione del Regno d’Italia. Peccato però che quel 17 marzo 1861 mancassero “all’appello” Veneto, Friuli, Trento, Trieste e soprattutto Roma e il Lazio!

Che senso ha parlare di una nuova festa (mentre continuano ad essere soppresse ben 4 feste religiose) quando basterebbe semplicemente segnare nuovamente di rosso sul calendario il 4 novembre?

Ancora una volta ci troviamo di fonte a tante “parole, parole, parole, soltanto parole”, come cantava Mina.

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