L’islamizzazione nel carrello: attenzione alla “jihad economica”!

L’islamizzazione nel carrello: attenzione alla “jihad economica”!

L’islam può invadere l’Occidente in molti modi!

Con l’immigrazione selvaggia, ad esempio. Con la jihad armata attraverso attacchi terroristici compiuti contro la popolazione inerme. Oppure con un processo d’islamizzazione nelle scuole.

Questi sono i metodi più comuni e più noti. Ma c’è anche un altro modo più subdolo, forse meno conosciuto, ma non per questo meno pericoloso.

Ne ha parlato recentemente sul quotidiano francese Le Figaro, l’antropologa Florence Bergeaud-Blackler.

In un articolo ha messo in guardia dalle conseguenze e dalle sfide rappresentate ovunque dal cosiddetto “mercato halal”.

Halal in arabo significa “lecito”. Tale termine indica quanto sia permesso nel mondo musulmano in materia di comportamento, linguaggio, abbigliamento ed alimentazione.

Per essere conforme, quindi accettato, un prodotto, qualsiasi esso sia, dev’essere stato preparato secondo le norme previste dalla legge islamica.

Il primo problema è proprio questo: «Il perimetro dello standard halal si estende all’infinito – spiega l’antropologa – perché nessuno pone un limite».

Inizialmente tale marchio riguardava solo la carne ed, in particolare, le sue procedure di macellazione. Poi è stato applicato a tutti i prodotti alimentari.

Poi ai detergenti, poi ai cosmetici, poi ai ritrovati medici, poi agli alberghi, poi all’abbigliamento, poi alla finanza e poi ancora… Fin dove?

Pian piano non ha più riguardato solo il singolo articolo, bensì il comportamento globale dei musulmani in tutti gli ambiti della loro vita. Condizionandolo.

Una seconda criticità riguarda la credibilità di tale marchio, fortemente messa in discussione da Florence Bergeaud-Blackler, che l’ha definita senza mezzi termini «una finzione». In che senso?

«La certificazione halal – spiega – non è un sigillo divino posto sui prodotti», benché lo si voglia far credere. «E, se nessuno lo dice, è solo perché in tal caso non sarebbe più vendibile».

Il commercio halal, insomma, non esisterebbe senza questa fantomatica, ma infondata “aura” spirituale.

Il mondo politico si disinteressa di tutto questo. E sbaglia. Il Cen, Comitato Europeo di Normazione, ha cercato per anni di vederci chiaro e di introdurre delle regole in merito.

Ma non c’è mai riuscito. «Ha fallito di fronte alle agenzie di certificazione halal ed ai Paesi musulmani uniti contro quella che definivano un’”ingerenza”» nelle questioni musulmane.

Nessuna ingerenza, invece, ma solo il tentativo di controllare in qualche modo un vasto mercato paradossalmente privo di leggi e di obblighi.

La faccenda riguarda anche noi. Tutti noi. Perché ormai, in un qualsiasi supermercato, troviamo facilmente nelle scansie prodotti marchiati “halal”.

È il tarlo che può erodere la nostra economia. E può essere l’inizio di una vera e propria “jihad economica”.

Per questo è nostro dovere informare e chiarire bene le idee. Per farlo intendiamo incrementare la nostra vasta campagna di sensibilizzazione via social.

Ma questo ha un costo, che da soli non riusciamo a sostenere. Se ci aiuti, però, possiamo farcela!

È molto importante: il mercato internazionale “halal”, se utilizzato da una nazione o da una rete musulmana, può standardizzare, strutturare e controllare il comportamento del mondo islamico.

Può farlo più e meglio di qualsiasi imam. Secondo l’antropologa Florence Bergeaud-Blackler, le norme halal rappresentano un rischio per società secolarizzate come la nostra. Come?

Non solo limitano la commensalità e la convivialità, ma regolano anche la separazione sessuale degli spazi e del lavoro.

Alberghi e spiagge halal, boicottaggi ed acquisti divengono “armi” per costruire ecosistemi halal in un Occidente laicizzato e quindi sempre più compatibile con la sharia, con la legge islamica.

Senza rendercene conto, quella che sembra una semplice pratica commerciale diviene, in realtà, uno strumento per islamizzare silenziosamente il nostro Paese, il nostro Continente.

Così la competizione dal piano economico-produttivo scivola inesorabilmente ed irrimediabilmente verso il piano religioso. La dottoressa Florence Bergeaud-Blackler è chiarissima:

«Le questioni relative all’halal sono molto più preoccupanti dei semplici problemi di concorrenza economica» in un’area di libero scambio, afferma.

Ed ancora: «Il mercato halal può essere lo strumento di una “jihad economica”», condotta per «costruire e rafforzare la comunità musulmana (Umma) e per promuoverne i valori».

Come? «In accordo con i principi della sharia». Ed ecco che il laicissimo Occidente può ritrovarsi islamizzato in casa propria, senza nemmeno accorgersene.

Se non quando ormai è troppo tardi. Occorre fare in modo che il mondo politico presti attenzione a questi fenomeni, tutt’altro che marginali, e che intervenga in modo opportuno.

Ed anche noi, prestiamo attenzione quando ci aggiriamo tra le scansie del supermercato. Una scelta sbagliata può finanziare una “jihad economica”.

Per questo è urgente ampliare la nostra vasta campagna di sensibilizzazione. Per dare l’allarme. Per riuscirci, abbiamo bisogno dell’aiuto tuo e di tutti coloro che condividono i nostri stessi Valori.

Coraggio! Insieme, possiamo farcela a mantenere cristiane identità e anima dell’Italia e dell’Europa!

 

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