Salviamo la lingua italiana!
Certo, l’accusa più facile che si possa ricevere è di essere considerato fascista.
Ma sarebbe un’accusa sciocca, perché non c’entra proprio nulla.
Parliamo della proposta di legge, a difesa della lingua italiana nella pubblica amministrazione, presentata la scorsa settimana alla Camera dal deputato di Fratelli d’Italia Fabio Rampelli e da una ventina di colleghi del suo stesso partito.
Al di là dei dettagli, racchiusi in otto articoli e su cui si può discutere, è interessante esaminare la premessa che muove l’iniziativa.
Perché, al di là delle ideologie, dobbiamo chiederci: la nostra lingua, la nostra bella lingua italiana, quella del “bel paese là dove ‘l sì suona” (Inferno XXXIII, 80) va difesa o no? Va conosciuta e promossa o no? La risposta sembra ovvia.
L’italiano infatti “rappresenta l'identità della nostra Nazione”, è un patrimonio “ricevuto in eredità dal nostro passato e dalla nostra storia” e “dobbiamo imparare a considerarlo un bene comune”.
E allora non può non preoccuparci quanto, ad esempio, l'Accademia della Crusca viene denunciando da tempo, ovvero “il progressivo scadimento del valore attribuito alla nostra lingua”.
Pensiamoci un attimo: non è forse vero che ormai ci riempiamo la bocca di anglicismi?
L'uso di termini in inglese, scrivono i firmatari della proposta di legge, “è diventato una prassi comunicativa che, lungi dall'arricchire il nostro patrimonio linguistico, lo immiserisce e lo mortifica”.
E sia chiaro che non si tratta di odio verso l’inglese in quanto tale. Il discorso sarebbe identico anche se al suo posto venissero utilizzati il francese, il tedesco o lo spagnolo. Sta di fatto che a dominare nel mondo come lingua comune è proprio l’inglese.
Ebbene, i dati forniti dalla proposta di legge sono inquietanti.
Secondo le ultime stime, dal 2000 ad oggi “il numero di parole inglesi confluite nella lingua italiana scritta è aumentato del 773%: quasi 9.000 sono gli anglicismi attualmente presenti nel dizionario della Treccani su circa 800.000 parole in lingua italiana. Da un confronto tra gli anglicismi registrati nel dizionario Devoto-Oli del 1990 e quello del 2022, per esempio, si è passati da circa 1.600 a 4.000, il che porta a una media di 74 all'anno”.
Tutti questi ossessivi forestierismi rischiano “nel lungo termine di portare a un collasso dell'uso della lingua italiana fino alla sua progressiva scomparsa”. Purtroppo, scrivono sempre i firmatari, in Italia “non esiste alcuna politica linguistica, anzi, il linguaggio della politica, nel nuovo millennio, si è anglicizzato sempre di più”.
E a chi pensasse all’autarchia fascista sarebbe bene ricordare quanto accade altrove.
Infatti, Paesi come Francia e Spagna hanno addirittura modificato la Costituzione per rendere obbligatoria la lingua madre “nelle pubblicazioni del governo, nelle pubblicità, nei luoghi di lavoro, in ogni tipologia di contratto, nei servizi, nell'insegnamento nelle scuole statali e negli scambi commerciali”.
“La lingua italiana, paradossalmente, è più tutelata in Svizzera che da noi. La Confederazione svizzera – questo il parere dei firmatari del testo – rappresenta un modello di plurilinguismo molto avanzato cui guardare come esempio in relazione al monolinguismo internazionale imperante basato sull'inglese”.
Oltretutto, il “dominio internazionale della lingua inglese” risulta essere ancora “più negativo e paradossale” poiché con la Brexit “è uscita dall'Unione europea proprio la nazione da cui quella lingua ha avuto origine”. E dunque “in un'ottica di salvaguardia nazionale e di difesa identitaria diventa quanto mai prioritaria la conservazione della lingua italiana” e si rende necessaria una legislazione che tuteli la nostra lingua perché - si legge ancora nel testo della proposta di legge – “chi parla solo l'italiano oggi rischia il fallimento dell'incomunicabilità, ma il rischio ancora più grande è che si perda la bellezza di una lingua complessa e ricca come la nostra”.
Attenzione quindi: qui non si tratta di non studiare le lingue straniere. Ci mancherebbe altro! Stiamo parlando di un’altra questione: parliamo in inglese con gli stranieri, ma per favore, in Italia cerchiamo, anzi sforziamoci, di parlare e scrivere in italiano!
E se questo deve valere per la pubblica amministrazione, a maggior ragione deve valere per la scuola.
Quanti studenti arrivano alle superiori senza saper scrivere e parlare correttamente in italiano? Sono tanti, purtroppo. E questo perché si è abbandonato lo studio serio della grammatica.
Quindi ricordiamo ai nostri politici che prima di tutto bisogna tornare a una scuola seria, in cui sin dalle elementari si insegni italiano per bene, come si faceva una volta. Questo è il primo, fondamentale, passo per la difesa e la promozione della lingua di Dante.