Italia: un paese sottomesso?
Islam in arabo significa “sottomissione”. Un musulmano è chi si sottomette ad Allah, alla sua parola (il Corano), alla sua legge (la Sharia), alle autorità politiche che lo rappresentano (il Califfo) e alla sua comunità (l’Umma). Ma si può anche vivere in una società islamica (Dar-al-Islam) senza essere musulmano, come cittadino di seconda classe, dhimmi. In teoria, i dhimmi hanno garantita la loro sicurezza personale e le loro proprietà, in cambio del pagamento di un tributo (Jizya) e del riconoscimento del dominio musulmano. Ancora più importante, sono liberi di praticare la propria religione purché non sia pubblica e non cerchino di convertire i musulmani. In caso contrario si applica la pena di morte.
L’Islam sta avanzando dappertutto. È già la seconda religione in Europa e continua a crescere a un ritmo molto elevato, mentre il cristianesimo sta diminuendo, a causa del crollo della natalità e dell’apostasia spirituale. Molti musulmani europei vivono in comunità chiuse, soprattutto nelle periferie delle città, che di fatto non sono soggette alla legge del paese. In queste comunità si applica la Sharia e le famiglie pagano le tasse islamiche in conformità con essa. Ciò è particolarmente visibile in Francia, dove la Gendarmerie pubblica rapporti annuali sulle “Zones Urbaines Sensibles” (ZUS), un eufemismo per indicare le aree controllate per lo più da musulmani, nelle quali nemmeno la Polizia può entrare.
Alcuni paesi europei stanno gradualmente diventando parte della Dar-al-Islam. In Gran Bretagna, ad esempio, la Sharia è stata riconosciuta insieme alla Common Law britannica, con la conseguente creazione di Corti musulmane composte da Qadis (giudici islamici). In altre parole, la Gran Bretagna ha rinunciato alla propria sovranità, consentendo a uno Stato nello Stato di applicare la propria legge.
Altri Paesi – è il caso dell’Italia – stanno scivolando verso una situazione che definirei di dhimmitudine: pur non accettando l’Islam de iure, vi si sottomettono de facto.
Il recente fatto di Pioltello, alla periferia di Milano, dimostra quanto l’Italia si sia già sottomessa.
Il preside di una scuola pubblica ha annunciato che chiuderà il 10 aprile per festeggiare la fine del Ramadan. Ha giustificato la sua decisione dicendo che il 40% dei suoi studenti sono musulmani e che, quindi, la scuola sarebbe comunque rimasta quasi vuota quel giorno. La scuola, tra l’altro, prende il nome da un cittadino pakistano: Iqbal Masih.
Il ministro dell’Istruzione, Giuseppe Valditara, ha prontamente reagito dichiarando che una scuola pubblica deve seguire la legge italiana e chiudere solo nei giorni festivi ufficiali. Non può decidere le proprie festività, e tantomeno per motivi religiosi. Molti cittadini del posto sono d’accordo, nonché diverse associazioni cattoliche, che hanno messo in guardia sul pericolo di regolare il sistema educativo italiano secondo la religione islamica. “Mentre qualcuno vuole rimuovere i simboli cattolici - come i crocifissi nelle aule - per paura di ‘offendere’, una preside decide di chiudere la scuola per la fine del Ramadan. Una scelta inaccettabile, contro i valori, l’identità e le tradizioni del nostro Paese”, ha tuonato da parte sua il vicepremier Matteo Salvini.
Tuttavia, a dimostrazione di quanto l’Italia abbia già ceduto alle usanze islamiche, molte autorità hanno invece sostenuto la decisione del preside, a cominciare dall’arcivescovo di Milano, mons. Mario Delpini, che ha messo in guardia dal “fare una crociata”. Le crociate, ha detto, “non fanno altro che complicare le cose”. Mons. Delpini è noto per la sua apertura verso la comunità musulmana.
Anche il quotidiano dei vescovi Avvenire sostiene il preside: “Il caso della scuola di Pioltello sta suscitando reazioni scomposte e viscerali. È un vero peccato e soprattutto una palese dimostrazione di inadeguatezza di fronte alla sfida del pluralismo culturale e religioso che caratterizza la nostra società, ci piaccia o meno”.
Il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, ha inviato una lettera alla vicepreside Maria Rendani affermando: “Apprezzo il lavoro che il corpo docente e gli organi di istituto svolgono”. Pochi giorni prima, il corpo docente della scuola aveva approvato all’unanimità di assecondare il preside nella sua decisione di celebrare il Ramadan.
L’incidente di Pioltello è indicativo di una tendenza.
Poche settimane prima, la diocesi di Bergamo aveva lanciato un appello ai cattolici perché partecipassero al Ramadan. In una lettera inviata a tutti i sacerdoti, la Curia ha invitato i fedeli a partecipare alle festività del Ramadan, unendosi alle preghiere e anche ai pasti iftār della comunità musulmana. La lettera definisce il Ramadan un “mese sacro”, come se nostro Signore Gesù Cristo non fosse più il Signore della storia.
Diverse associazioni cattoliche, tra cui Pro Italia Cristiana, hanno lanciato petizioni pubbliche chiedendo al Vescovo di riconsiderare la sua decisione. “Sì alla Quaresima, no al Ramadan!” era lo slogan.
Anche il vescovo di Padova, mons. Claudio Cipolla, ha pubblicato una “Lettera ai nostri fratelli e sorelle musulmani” all’inizio del Ramadan, che pure definisce un “mese sacro”: “Lo faccio con stima, pensando all’impegno che accompagnerà questi importanti giorni, vissuti nella pratica del digiuno, della preghiera e nella lettura del Corano. Sarà un’occasione per rinsaldare i legami di fede e per orientare le vostre Comunità alla ricerca di Dio e della sua volontà”.
L’arcivescovo di Bologna, cardinale Matteo Zuppi, ha salutato i musulmani con una lettera aperta: “Carissimi fratelli e sorelle credenti dell’islam, al-salam alaykum, la pace sia con voi. All’inizio del mese di Ramadan desidero raggiungervi con il mio saluto e le espressioni della più cordiale amicizia, nelle quali associo l’intera Chiesa di Bologna, che io cerco servire come Pastore”.
Altri vescovi italiani si sono rivolti in questa occasione alle comunità musulmane. Sembra che ciò stia diventando una pratica comune.
Mentre i musulmani vengono in questo modo accolti e coccolati, i cattolici vengono sempre più spesso emarginati.
Un numero crescente di scuole italiane sta cancellando le celebrazioni del Natale per non ferire i sentimenti dei musulmani. La tradizione del presepe, ad esempio, sta lentamente scomparendo, così come l’altarino dedicato alla Madonna nella festa dell’Immacolata. Molte scuole stanno modificando le vacanze di Pasqua per adattarle al calendario musulmano. Anche se la presenza della Croce nelle aule è obbligatoria, molte scuole la stanno sopprimendo. Le immagini dei santi – una visione finora comune nelle scuole italiane – vengono rimosse. Potrebbero essere offensive per i musulmani.
Lo scorso dicembre Fratelli d’Italia ha presentato in Parlamento un disegno di legge per dichiarare il Natale festa ufficiale, e quindi obbligatoria, nelle scuole. Spiegando le ragioni di questo disegno di legge, la senatrice Lavinia Mennuni ha dichiarato: “Da qualche anno assistiamo ad inaccettabili e imbarazzanti decisioni di alcuni organi scolastici che vietano il presepe nelle scuole o ne modificano l’essenza profonda modificando ad esempio la festa del Natale in improbabili festività dell’inverno per non offendere i credenti di altre religioni. Con la proposta di legge che ho presentato e che è stata firmata da molti parlamentari, non sarà più possibile cancellare il presepe, il Natale e la Pasqua all’interno degli istituti scolastici italiani di ogni ordine e grado. È assolutamente fondamentale salvaguardare e tutelare quelle che sono in fondo le nostre radici culturali che nel presepe hanno un altissimo esempio”.
Sono pienamente d’accordo con la senatrice Mennuni e sostengo il suo disegno di legge. Osservo tuttavia che quando si deve proporre una legge speciale per difendere una tradizione religiosa e culturale secolare (anzi, nata in Italia con San Francesco d’Assisi) significa che la battaglia è in sostanza finita. Hanno vinto loro. De facto se non de iure, l’Italia è già un Paese sottomesso.