Rieducare i docenti? No, grazie! Il caso Mahmoud scuote la scuola italiana
La scuola italiana deve essere “decolonizzata”.
Così ha detto l’assessore alle politiche educative del Comune di Reggio Emilia Marwa Mahmoud — con il tono di chi non parla solo di scuola, ma di una vera e propria rieducazione culturale.
Durante la presentazione del Dossier statistico immigrazione 2025, Mahmoud ha invitato il mondo dell’istruzione a “decolonizzare lo sguardo”, accusando i nostri docenti di avere un “approccio coloniale” verso gli studenti stranieri.
Parole gravi, offensive, che lasciano intendere un progetto molto più ampio: mettere in discussione la scuola italiana, la nostra lingua, i nostri valori e le nostre radici cristiane — in nome di un multiculturalismo che somiglia sempre di più a una islamizzazione mascherata da inclusione.
Ma la risposta non si è fatta attendere.
Il professor Luca Manini, docente al liceo “Matilde di Canossa”, ha reagito con coraggio:
“Sono stanco di sentire parole di questo tenore da chi non ha un’esperienza diretta e quotidiana col mondo reale della scuola. La invito formalmente a venire nella mia classe e a chiedere, faccia a faccia, ai miei studenti se io abbia mai mostrato atteggiamenti coloniali”.
Una testimonianza che ha dato voce al sentimento di migliaia di insegnanti italiani, stanchi di essere umiliati da chi, dal proprio ufficio comunale, pretende di impartire lezioni di morale e di “decolonizzazione”.
Questa volta, però, il tentativo di imporre un pensiero unico ha incontrato una resistenza viva e concreta.
Dalle opposizioni cittadine, voci lucide come quelle degli avvocati Giovanni Tarquini, Carmine Migale e Matteo Marchesini hanno ricordato che:
“La scuola italiana non è un residuo dell’impero, ma il luogo dove ogni giorno si costruisce convivenza, dialogo e rispetto. Gli insegnanti non hanno bisogno di essere rieducati: vivono da anni l’inclusione come pratica quotidiana, non come parola d’ordine”.
Quella espressa dall’assessore Mahmoud è una visione che vuole “valorizzare la lingua madre” dei migranti più della nostra lingua, che preferisce il plurilinguismo alla coesione nazionale, che considera la tradizione cristiana un ostacolo da superare.
È un copione già visto: chi si proclama “inclusivo” finisce per escludere l’identità italiana, chi parla di “dialogo” vuole in realtà riscrivere la nostra memoria collettiva.
E la scuola — il cuore della nostra civiltà — rischia di diventare il laboratorio di una rieducazione ideologica, dove tutto ciò che richiama l’Italia, la fede, la storia, deve essere cancellato o riscritto.
Non possiamo restare in silenzio! Per questo, se non l’hai ancora fatto, ti invitiamo a firmare subito la petizione “Basta islamizzazione a scuola!”, promossa da Pro Italia Cristiana, per difendere la libertà di insegnamento, la dignità dei docenti, la centralità della lingua italiana e la nostra eredità cristiana.
Per far arrivare questo messaggio ovunque, è necessario potenziare al massimo la nostra grande campagna di sensibilizzazione online.
Ma farlo ha un costo, che da soli non riusciremmo ad affrontare. Per questo ti chiediamo di darci una mano!
Solo insieme possiamo far sapere che c’è un’Italia che non accetta imposizioni ideologiche e che crede ancora nella forza della scuola come luogo di libertà.
Come ha denunciato la consigliera Letizia Davoli: “Ancora una volta l’assessore Mahmoud dimostra di vivere in una realtà parallela, dove le scelte educative non sono guidate dal bene dei ragazzi, ma da un’ideologia che distrugge i valori costitutivi del nostro Paese in nome di una distorta idea di inclusione”.
Parole chiare, che dovrebbero far riflettere ogni genitore e ogni cittadino.
Perché “decolonizzare lo sguardo”, in realtà, significa de-identificare l’Italia, disintegrare l’anima della scuola pubblica, relegare le nostre radici cristiane a reliquia di un passato da dimenticare.
E noi diciamo NO! La scuola italiana è nata per educare, non per indottrinare.
È la casa della libertà e del pensiero, non il laboratorio di un’ideologia multiculturale che divide, confonde e relativizza ogni valore.
Chi lavora nelle aule non ha bisogno di corsi di “rieducazione”, ma di rispetto e sostegno.
Perché difendere la scuola significa difendere noi stessi, i nostri figli e il futuro del Paese.